L'allestimento dei tronchi

L’albero abbattuto doveva essere ripulito dai rami, sezionato in tronchi commerciali e su questi praticata la scortecciatura e lo smusso delle testate. Tutte queste fasi, raggruppate in un’unica e più generale, detta di “allestimento”, fei su taie/fa su taie, venivano eseguite dagli altri componenti della squadra, estranei ai lavori precedentemente descritti.

La sramatura

La prima operazione da eseguire era quella di liberare il fusto dai rami rivolti verso l’alto, deramà/šramà. Era una tappa necessaria per poter procedere alla seconda fase, ovvero la misurazione. L’attrezzo utilizzato era l’accetta, manaré da taai/manarguó/manarin da taie, che doveva sempre essere ben affilata per permettere un taglio netto dei rami al primo colpo. Il fusto veniva ripulito lungo tutta la sua lunghezza ad eccezione del cimale, destinato ad uso legnatico. Oltre al taglio, gli operai dovevano anche provvedere all’allontanamento delle ramaglie in modo da agevolare le successive operazioni.

D. Na ota taiada sta pianta, no, i feva fora? Come feveli?

R. Bišogneva ciapà, prima, taià via duc’ i ram co l manarin, manarin da taie n fià pešante, alora se ciapeva generalmente un su la zima e che l altro su l gros. Un vegniva n zu che l auter vegniva n su, fin che se s incontreva e vegniva taià via i ram. Co na ota l eva taià via i ram e i spostà sti ram, bišogneva imucià da calche banda, parcié se no…

D. Ma erelo fazile taià via sti ram?

R. Bišogneva ghe dà sec, magari doi trei colp…

D. Ma calche ota no se schienzevele anca se se deva masa sot?

R. Ma prima bišogneva i taià via, i lasà n cin lonc no propio ite a pede a la taia, bišogneva i taià via n cin pì lonc alora i deventa manco gros no. Dopo se sezioneva la pianta n baše a la taia de cater metri magari n botol o chel che l era (eva) e dopo can che l era pronta sta taia, dišon, che la era zancada se scomenzeva a taià via i ram polito, ai grop che ghe resteva.

D. Doi ote alora i vegniva taiai?

R. Sì, taiai doi ote. Alora dopo se scomenzeva de sora anca in doi così dopo se la gireva e bišogneva taià via dut e la tornì abastanza polito insoma perché (parciè) le vegniva strozade dute, dute strozade a man.[14]

La misurazione

Eliminati i rami nella parte superiore del fusto, il lavoro continuava con fase di misurazione, stangià/segnà/mešurà la longetha, che aveva lo scopo di definire gli assortimenti ottenibili dalla pianta abbattuta. Vista la delicatezza e l’importanza di tale fase, essa veniva, in genere, compiuta dall’assuntore del lavoro oppure, se il lavoro era eseguito “in proprio”, da un amministratore dell’ente proprietario.

D. E cuön ch’la pianta inera dubaso com fadaa a misuré gno ch’avee da gni el taai?

R. S dadee un colpo par traverso al ramo e dramaa, specialmente da sora, parchech’dopo pasaa chel dla stangia, un mistro, in genere inghiner sempro l asuntor u un so fidato, parchè iné ilò l importantha. Alora tasta al tarido, dopo dà su la stangia e fa la so tapeta col sion.[15]

Gli assortimenti ottenibili potevano essere vari, ma i più comuni erano i tronchi di lunghezza pari a quattro metri, taie, tagliati venti, trenta centimetri più lunghi per compensare i danni delle testate durante la fase di esbosco ed il ritiro longitudinale dovuto all’essiccazione. Questa lunghezza supplementare era variabile a seconda delle consuetudini di una zona. Per la misurazione veniva utilizzata una stecca di legno, stangia/stanga, sulla quale erano riportate anche le lunghezze di uno e due metri, assortimenti definiti rispettivamente da cartiera e botoli, bora/botol. In genere, se la pianta era di grosse dimensioni, il primo tronco veniva tagliato a due o tre metri, in modo da rendere più agevole il suo trasporto. Se da una prima analisi il fusto non presentava dei difetti, gli altri tronchi venivano tagliati della lunghezza normale. Decisa la misura, veniva fatta con la scure o il segone una piccola tacca indicante il punto di sezionatura. Se invece la pianta, come spesso accadeva, presentava del marciume o del legno rosso o canastro, conastro/conaster, a un metro di distanza dal taglio basale veniva praticata un’incisione, sempre con gli attrezzi precedentemente indicati, in modo da verificare l’estensione del difetto, difeto/difet. Questa operazione, detta “di assaggio”, tastà/purgà, veniva ripetuta, generalmente, a distanza di un metro fino alla totale scomparsa dell’anomalia. Da lì in poi aveva inizio la misurazione. A seconda della gravità del difetto il tronco rimaneva in bosco, per essere utilizzato come legna da ardere, legn/legne, oppure esboscato. In quest’ultimo caso, durante la misurazione per la vendita del legname, veniva applicato uno sconto sul volume del tronco, proporzionale all’entità del difetto. Nei lotti boschivi di scarsa qualità, l’operazione “di assaggio” non era vista di buon occhio dai boscaioli in quanto ritenuta una perdita di tempo e uno spreco enorme di energia. Se poi il contratto di assunzione prevedeva il compenso in base ai metri cubi allestiti, comportava anche una perdita di danaro.

Visto che se l avea deramà prima e se l avea ben sote i guoie perciò se riusia a fei na sethionatura abastantha con criterio. É logica che in tante poste, in tanta zones l era tanto guasto. Chesto l era una de la carateristiches che par nos les era forse les pedo parcè sicome che l é obligà agnò che l è al guasto. Al guasto no se può fei legname da opera, e così, chel bišogna scartalo no. Alora cé suthiedeelo: che bišognaa fei na proa, per… l era obligà, l é an regolamento che dis na proa ogni thincuanta thentimetre. Podè imaginà cu n manarguò cu na manera, an manarguó, col siegon ogni thincuanta thentimetre proà a cé punto che l é. Chesta roba par al boscador l era an gran dan, insoma, e na fadia enorme fata par nia. In ogni modo bišognaa afrontà anche chesta. E se cenia de conto prima: dapò insoma sta sorpreses les era pì o memo grandes e fašea parte del laoro del boscador.

Autra roba che forse no ài dito: su la longhethes de la taies dei botui e dei thimai. Canche io parlao de botui de doi, tré, metre cuatro metre e thinche e oltre, bišogna cenì presente che i doi metre i era sempre doi metre e sedes o doi e dišdoto. Che l era sta tolerantha apunto, che l era stada metuta a dispošithion parchè sui ešbosche ienia magare danegià senthautro la taies, ienia danegies parchè, šbate de ca, šbate de là, šbate su par an sas. Alora chesta l era na longhetha che l era de precauthion, che l era par regolamento, no se dea incontro a nia. Anthi l era regolare fei, per ešempio, doi e dišdoto, tré e dišdoto, cuatro e dišdoto, thinche e dišdoto e così via. Insoma eco. [16]

La depezzatura

La depezzatura dei tronchi, scavathà/s-ciavathà, eseguita sempre in coppia, era una fase piuttosto lunga e faticosa, consistente nel taglio del fusto nei punti stabiliti durante la misurazione. Se la pianta era caduta su un terreno pianeggiante, la sezionatura non presentava grosse difficoltà ed il taglio veniva eseguito dall’alto verso il basso con l’unico accorgimento di evitare il contatto degli attrezzi con il terreno, in modo da mantenerli sempre taglienti. Spesso però i fusti sormontavano dei dossi o delle depressioni, rendendo più complicato e lungo il lavoro dei boscaioli. In questo caso, infatti, le tecniche di taglio mutavano in funzione della situazione. Se, ad esempio, il fusto si trovava sopra una buca bisognava innanzitutto eseguire un taglio dall’alto verso il basso in modo da incidere la zona di compressione. L’operazione risultava molto faticosa, in quanto più la lama incideva il legno e più la forza di compressione la rallentava, serrandola come in una morsa. Il segone veniva tolto prima che si incastrasse del tutto e impiegato nel taglio definitivo dal basso verso l’alto, nella così detta zona di tensione. In tali circostanze era consuetudine utilizzare anche dei cunei di legno per facilitare la penetrazione della lama. Questa tecnica di sezionatura era utilizzata per evitare la sfibratura dei tronchi nella parte superiore, eventualità quest’ultima non rara se il taglio veniva eseguito esclusivamente dal basso verso l’alto. Analoghi stratagemmi trovavano applicazione in tutte quelle situazioni particolari nelle quali i tronchi potevano danneggiarsi, diminuendo di conseguenza il loro valore commerciale.

Ultimata la sezionatura dei fusti, si doveva procedere alla loro definitiva sramatura asportando i rami rivolti verso il basso. A tale scopo i tronchi dovevano essere girati in modo da poter procedere con maggiore comodità, utilizzando lo zappino oppure il giratronchi.

Un’ulteriore operazione che precedeva la scortecciatura era l’asportazione dei monconi dei rami eventualmente rimasti dopo la fase di sramatura. Questi dovevano essere tagliati fino alla base, utilizzando delle accette molto taglienti. Quando infatti le lame non erano ben affilate, c’era il rischio di una rottura in profondità del nodo, gropo/grop, con il conseguente deprezzamento del valore dell’intero tronco. Comunque per evitare questo inconveniente si praticavano, almeno per i rami più grossi, due incisioni opposte.

La scortecciatura

La fase di allestimento dei tronchi continuava con la loro integrale scortecciatura, scorthà/descorthà, che era obbligatoria e doveva essere eseguita sul letto di caduta. A seconda della stagione in cui venivano abbattuti gli alberi cambiava notevolmente la difficoltà di esecuzione di questo lavoro. In primavera, insuda/ainsuda, quando le piante erano in piena ripresa vegetativa, in amó/in amor, la massiccia affluenza di linfa facilitava consistentemente il distacco della corteccia, scorza. Al contrario, in autunno, otono/autono/auton, la sua adesione al legno era più vigorosa a causa della ridotta quantità di liquido circolante.

Gli attrezzi utilizzati in questa fase erano: l’accetta, manaré da taai/manarguó/manarin da taie, e lo scorzatoio, fer da scorthà/soibal; quest’ultimo, adoperato per la prima volta negli anni cinquanta, facilitava notevolmente il lavoro, ma poteva essere impiegato unicamente durante la stagione linfatica, dalle piante. In questo periodo il tempo necessario alla scortecciatura di un albero si riduceva notevolmente, risultando possibile l’asportazione di strisce di corteccia lunghe quanto il tronco.

Generalmente il lavoro era eseguito stando con i piedi a terra, a fianco del tronco e, più raramente, a cavallo di questo, richiedendo in tal caso l’applicazione, sotto gli scarponi, di ramponi o dei ferri a quattro punte in modo da evitare gli scivoloni, resi altrimenti inevitabili dalla superficie viscida dei tronchi appena scortecciati.

L’obbligatorietà di eseguire la scortecciatura sul letto di caduta non era l’unico motivo per cui questa operazione veniva praticata. I tronchi senza corteccia, infatti, scivolavano più facilmente, rendendo il loro avvicinamento alle vie di esbosco meno faticoso; inoltre si seccavano adeguatamente, divenendo più leggeri. La corteccia, infine, poteva essere veicolo di parassiti che ne alteravano la qualità.

Dapò fato chesto, finì chesta parte de la sethionadura alora ienia fata la “scortecciatura”. Ienia levà la scortha. La scortha e l era anche chesta fata cui manarguos. E l era forse una de la fašes pedo! parcè bišogna che penson che la scortha chanche l é d istade, in amor la vien via anche abastantha ben. Ma canche l è d ainsuda o d auton, insoma, l è come bate via len insoma. L é na roba che l é abastantha laborioša insoma, e fadioša. Parchè dapò canche l é subentrà la motosiega dišon, ades nel tempo pì moderno dišon che cheste dišage i é abastantha evitade, parcè che ades adiritura noi scortha gnanche pì. Ma nošoutre ai nostre tempe isoma la roba i la golea scorthada.[17]

Lo smusso delle testate

Lo smusso di entrambe le testate dei tronchi, corona/ghirlanda/pilon, era l’ultima operazione della fase di allestimento. Veniva eseguita oltre che per facilitare il trascinamento dei tronchi e il loro scorrimento lungo i canali di esbosco, anche per impedire la sfibratura delle testate durante tali operazioni. Lo strumento utilizzato era l’accetta, manaré da taai/manarguó/manarin da taie, con la quale si asportava il bordo della testata lungo tutta la circonferenza. In qualche zona, dove il legname era particolarmente pregiato, si praticavano addirittura tre piani di smusso.

Sempro col manaré dopo vegnia fata la corona dante e doi. In therte lueghi gnu ch’era bela roba era doi anthiani ch’mandaa a fei la corona, chei fadea sol la corona, parchè al manarua avea da ese come un rašoio. Fašee tripla la corona, una, deu e una sora, spethalmente la riathula pì grosa; dop li thimi invethe fašee via cusì.[18]


Note a “L’allestimento dei tronchi.”

[14] G. D. N., anni 66, ex boscaiolo e ex carpentiere, Alleghe, aprile 1999.

    D. Una volta caduta la pianta, ne tagliavano i rami? Come procedevano?

    R. Bisognava tagliare per prima cosa tutti i rami con l’accetta un po’ pesante, chiamata appunto “manarin da taie”. Si lavorava in due da parti opposte, uno partiva dal cimale e l’altro dalla parte basale. Una volta recisi, i rami venivano spostati ed ammucchiati nelle vicinanze.

    D. Ma era facile recidere i rami?

    R. Bisognava usare molta forza, dare due o tre colpi.

    D. Ma talvolta, non si scheggiava anche il tronco se si recideva il ramo troppo in profondità?

    R. Prima bisognava lasciare il ramo un po’ più lungo e solo in un secondo tempo si raffinava. Poi si procedeva a sezionare la pianta in base alla tipicità del tronco stesso: un botolo e dopo i tronchi di quattro metri ciascuno; solo a questo punto si procedeva alla pulitura definitiva del tronco, asportando ogni ramo o rametto che vi fosse ancora attaccato e i monconi dei rami precedentemente tagliati.

    D. Quindi venivano tagliati due volte?

    R. Sì, due volte. Il tronco veniva poi girato e si asportavano i rami rivolti verso il terreno, ripulendo il tronco come una vera e propria tornitura del legno, in quanto successivamente sarebbero stati trascinati manualmente.[torna su]

[15] C.D. T. L., anni 74, ex boscaiolo e ex bracciante agricolo, Costa di S. Nicolò di Comelico, 5 maggio 1999.

    D. Quando l’albero era stato abbattuto come facevate a definire le misure dei tronchi?

    R. Si sramava la parte superiore del fusto dando un colpo di sbieco ai rami, perché subito dietro c’era un uomo con la stanga (stanga lunga 4,2 metri) che assegnava la misura dei tronchi. Era un uomo di mestiere, in genere era sempre l’assuntore o un suo fidato, in quanto quello era un lavoro particolarmente importante. Facevano l’incisione per controllare il marciume, poi misuravano con la stanga e, dove cadeva, facevano una piccola tacca con il segone.[torna su]

[16] O. G., anni 70, ex boscaiolo ed assuntore, San Vito, aprile 1999.

    Considerato che prima avevamo eliminato tutti i rami avevamo la piena visione del tronco denudato e riuscivamo a fare la sezionatura con criterio. Questo ci permetteva di eliminare le parti con del marcio, perché il legname marcio non può essere messo in opera e deve essere scartato. Quando si presentava questo difetto, eravamo obbligati per regolamento a fare degli assaggi ogni 50 cm alla ricerca della parte sana. Potete immaginare con la mannaia o con il segone fare degli assaggi ogni 50 cm. Questo per il boscaiolo era un gran danno poiché doveva fare una fatica enorme senza ricavarne alcun frutto. Ad ogni modo bisognava affrontare anche queste cose. D’altra parte erano inconvenienti che facevano parte del lavoro del boscaiolo.

    Altra cosa che forse non vi ho detto è sulla lunghezza dei tronchi, dei botoli, e dei cimali. Parlando di 2, 3 metri o 4 e 5 ed oltre occorre tenere presente che la lunghezza effettiva era 2 metri e 16 centimetri o 2 metri e 18 centimetri. Questa tolleranza era data per compensare i danni provocati sulle testate dei tronchi durante le fasi di esbosco dallo sbattere fra loro o contro i sassi. Questa maggiore lunghezza era codificata per regolamento, non era per fare favoritismi. Anzi, era regolare fare ad esempio i tronchi lunghi 2,18, 3,18, 4,18, 5,18 metri e così via.[torna su]

[17] O. G., anni 70, ex boscaiolo ed assuntore, San Vito, aprile 1999.

    A questa operazione di sezionatura seguiva la fase di scortecciatura. Veniva tolta a mezzo di accette la corteccia dal tronco. Ed era forse la fase peggiore. Perché, mentre in estate quando le piante sono in “amore” la corteccia si toglie facilmente, in primavera ed in autunno è come tagliare legno. E la cosa diviene lunga e laboriosa. Dopo sono subentrate le motoseghe ed ora addirittura i tronchi non li vogliono neanche scortecciati e tutti questi disagi sono scomparsi. Ma ai nostri tempi il materiale lo volevano scortecciato.[torna su]

[18] C. D. M., anni 70, ex boscaiolo, Padola di Comelico, 21 maggio 1999.

    Sempre utilizzando l’accetta veniva praticata sulle testate dei tronchi la cosiddetta “corona” (smussatura delle testate). In certe zone, dove il legname era particolarmente pregiato, per fare la corona venivano utilizzati due operai anziani, i quali erano addetti solo a questa operazione, in quanto la loro accetta doveva essere affilata come un rasoio. La corona era tripla ovvero venivano praticati tre smussi specialmente nei tronchi più grossi; sui cimali invece non ci si metteva particolare maestria.[torna su]