Uno dei lavori più impegnativi, per il quale era richiesta una maggiore esperienza e professionalità, era quello dell’abbattimento degli alberi, taià/rebaltà. Infatti, prima di procedere al taglio, doveva essere decisa la direzione di caduta della pianta, scelta questa molto difficile, che necessitava spesso un consulto comune fra i boscaioli più anziani, soprattutto se l’albero risultava essere particolarmente inclinato. La direzione veniva decisa in base a diversi obiettivi: uno dei più importanti era quello di evitare i danni alle piante circostanti, siano state esse di dimensioni notevoli o piccoli alberelli con pochi anni di vita. Questo perché per ogni pianta danneggiata veniva applicata una sanzione pecuniaria durante la visita di ispezione per il rilievo dei danni, compiuta dall’autorità forestale. La scelta del corridoio di caduta doveva tenere conto anche dell’eventuale sbilanciamento dell’albero dovuto spesso ad una crescita eccentrica della chioma. In questo caso i boscaioli si inerpicavano lungo il fusto per asportare i rami disposti dalla parte opposta alla direzione di caduta, in modo che il baricentro dell’albero diventasse favorevole a tale direzione. L’arrampicata veniva compiuta senza l’ausilio di nessuna attrezzatura che la favorisse, come cinghie o corde di sicurezza.
In genere il taglio di un lotto di legname iniziava sempre dalla parte bassa e la caduta degli alberi direzionata verso monte, in modo che le ramaglie di quelli precedentemente abbattuti non intralciassero il lavoro. Questa pratica veniva soprattutto adottata per una questione di sicurezza: infatti gli altri operai, trovandosi più a valle dell’albero destinato, potevano lavorare più tranquillamente, senza correre il rischio di rimanere travolti. Comunque, per ogni buona evenienza, poco prima che l’albero iniziasse la sua roboante caduta, era consuetudine che gli abbattitori avvisassero i compagni e ogni inconsapevole passante gridando: “attenti che arriva”. Un fruscio sempre più forte e lo scricchiolio dell’ultimo pezzo di tronco ancora legato alla radice accompagnavano il gigante, che, cadendo a terra, faceva oscillare le piante vicine per lo spostamento d’aria e tremare il terreno sotto i piedi dei boscaioli, sempre interessati e attratti da questo evento allo stesso tempo affascinante e malinconico. Non sempre però la caduta avveniva nel posto destinato e poteva capitare che la pianta si incastrasse sulla chioma di altre piante attigue. In questo caso, gli abbattitori, oltre ad un lavoro supplementare, dovevano anche sopportare le risa sarcastiche e le burle degli altri componenti della squadra.
L’abbattimento con la scure
L’attrezzo più rappresentativo della professione del boscaiolo era, ed è tutt’oggi, la scure, manera. Essa era utilizzata per l’abbattimento degli alberi e per la depezzatura del fusto in tronchi commerciali, nel periodo precedente all’avvento del segone e in tutte quelle situazioni dove quest’ultimo non poteva essere usato, come ad esempio lungo i dirupi o in zone rocciose. La lama molto stretta (sette, otto centimetri), era strutturata in modo da incidere profondamente il legno ad ogni colpo sferrato. Il taglio veniva spesso eseguito in coppia, su due lati opposti del tronco. I colpi, che risuonavano in tutta la vallata, erano dati con intervalli regolari e in maniera alternata dai due abbattitori. Quando una buona parte di legno era stata asportata, la pianta veniva spinta nella direzione di caduta prescelta mediante delle lunghe stanghe appoggiate al tronco o, più spesso, trascinata con delle corde precedentemente fissate al fusto ad una certa altezza mediante un particolare ferro a forma di mezzaluna provvisto di uncini. A quest’ultima operazione partecipavano molti uomini, soprattutto se l’albero era di dimensioni ragguardevoli in quanto era necessario sviluppare una notevole forza sulle corde o sulle stanghe per direzionarne la caduta. Nonostante questa fosse un’operazione assai difficoltosa ed imprevedibile, era piuttosto raro, da quanto rivelato dagli intervistati, il verificarsi di errori clamorosi, soprattutto se gli alberi erano di piccole e medie dimensioni. Infatti, più un albero era grosso e più incerto diventava il suo controllo in fase di caduta, rendendo queste circostanze le più pericolose e soggette a gravi infortuni.
Il tempo necessario per l’abbattimento di un albero di grosse dimensioni era variabile e dipendeva da molteplici fattori, il più importane dei quali era il diametro del tronco che, negli abeti maturi, poteva raggiungere il metro. In media, una coppia di boscaioli impiegava almeno un’ora per abbattere un albero di dimensioni normali e anche più di due se si trovava in posizioni scomode o
se possedeva dimensioni eccezionali.
D. Ades, anticamente inte i tempi pasade, come co no era le sieghe, come le taiei?
R. Eh, duto a manera, i farea, asto capiu…
D. Erelo na manera particolare?
R. Sì, era la manera strenta che i la dorea a taià de pè, dišon, e a scavathà e dopo era la manera n tin pì larga che i ciamea la pilona, che la servia a fei su le tae nsoma via, bate fora i grope e descorthale e pilonale.
D. Sentio dì che nota, cuanche i taea le piante solo a manera, su la pianta i farea come na copa!
R. Sì, i farea la thoca a copa, no, n modo che se depošite l aga che la se se marthise.
D. Anche taiandola a manera i darei la direthion giusta agnó biciala?
R. Eh pardinci, i darea la strada anche a manera, eh sì, eh pardio, ma a manera bišognea che i vade inte, che i pase la metà de la pianta parchè la se rebalte da chela parte che i volea luore, nventhi a siegon bastea fei na tapa minima parchè dopo vegnia betù i coi davoi e la se levea coi coi, no.
D. E me dišea anche, che i avea anche un fer con la corda par podé tirala.
R. Sì, chel là che te…, che i ciamea al fer da piante.
D. Dišeme n tin come che al funthionea.
R. Ah, eh ca ciò, chesto ca e l gancio che bratholea la pianta, così no, chesta é la pianta, al la bratholea, no, così al se ngancea inte sto spuncion ca, no. I lo metea su e co la stanga, i lo betea nthima a la stanga sto anel ca, i lo betea su, cuanche l era su i darea n tiron, alora chesto ca se npirea inte nte la pianta, no, e dopo i tirea dó la stanga e ca era tacou la corda. E i ancorea la corda su nautro pethuò n modo che la stae tegnila salda. E dopo i tachea a dai strada e a rebaltala, nsoma via. Cuanche i era inte apena che i paria a luore che i podea tirala, no, alora i montea su la corda e i la tirea co la corda nsoma, che no la vade che nvethi de dì n su no la vade n dó o che la vade de ca o la vade de là. I avea tacou la corda n modo de tirala agnó che i volea luore nsoma via.[11]
L’abbattimento con il segone
Verso i primi anni quaranta fece la sua comparsa, nel mondo dei tagliaboschi, un attrezzo che avrebbe di gran lunga alleviato le loro fatiche e ridotto drasticamente il tempo necessario per l’abbattimento e l’allestimento di una singola pianta. Si trattava del segone a due manopole proveniente dal Canada e soprannominato “segone americano”, sion/siegon. Prima di allora venivano utilizzati altri segoni, ma questi possedevano una lama molto semplice, con denti a cuneo, che richiedevano un grande sforzo per penetrare nel legno e spesso si incastravano sotto il peso dell’albero. La lama di quello americano invece, era provvista di alcuni denti a spatola leggermente più corti ed inclinati rispetto agli altri, che servivano ad allontanare la segatura dall’incisione, favorendone conseguentemente lo scorrimento. Durante il taglio, venivano prodotti dei lunghi trucioli filiformi molto differenti dalla semplice segatura, segadithe/segadith, creata dai segoni tradizionali. Per la sua affilatura però, era richiesta una tecnica particolare, conosciuta solo da poche persone.
Con l’utilizzo del segone, la tecnica di abbattimento degli alberi cambiò radicalmente divenendo più rapida e precisa. Il lavoro veniva eseguito in coppia e se l’albero presentava delle particolari difficoltà vi era una terza persona, in genere più esperta, che consigliava sul da farsi. Decisa la direzione di caduta, i due boscaioli iniziavano il lavoro eseguendo un’incisione orizzontale, perpendicolare a tale direzione. Quando la lama era entrata di circa un terzo del diametro del tronco, veniva estratta e, con la scure, praticata un’incisione obliqua, circa venti centimetri più in alto della precedente, fino all’incontro delle due, in modo da ottenere uno spicchio di tronco detto comunemente tacca di direzione, tapa. Questa operazione serviva a sbilanciare la pianta verso la direzione prescelta. A questo punto si ricominciava il taglio con il segone, ma dalla parte opposta alla tacca. Con la progressiva penetrazione della lama nel fusto, la pianta perdeva la sua decennale stabilità, ed in questa situazione un colpo di vento poteva rendere vana la scelta della direzione. Per ovviare a tale pericolo, appena la lama era entrata per una profondità almeno pari alla sua larghezza, venivano introdotti nella stessa fessura dei cunei, cogn/coi/conec, di ferro o di legno duro (quale quello di frassino, di faggio o di betulla) e battuti con una mazza di ferro, matha, o più comunemente, con la scure. Da qui il lavoro procedeva alternando il taglio con l’infissione dei cunei. L’incisione del tronco non veniva eseguita completamente, ma terminava lasciando una “cerniera” di pochi centimetri a salvaguardia dell’ultimo frangente di stabilità dell’albero. A questo punto, tolta una manopola, il segone poteva essere sfilato. L’azione conclusiva e determinante per l’abbattimento era infatti l’inserimento di altri cunei che, battuti in maniera opportuna, guidavano la caduta dell’albero verso la zona prestabilita. Questa tecnica di abbattimento era indubbiamente più sicura di quella eseguita con la scure, nella quale la scelta della direzione era spesso aleatoria avendo la pianta molti più gradi di libertà.
D. Com se švolgelo al taio dla pianta e cuai era i atröthe ch’ušaa?
R. In cl ota inera i siogn americögn, iö la motosega n löi mai vista. Nöi lorone ot ore. Sione na pianta in doi d nöi, un da na banda e un da cl autra, coi coins, la matha.
D. Com fadaa a calcolà gno ch’la dee?
R. Iné mistiör anche cöl; calcolöia da cla banda che t vöde ch’al peso tira möio, ch’iné pì rame e dop iné la facenda di dane dal bosco; dop iné i coins ch’te guida. Alora cuon ch’te fas la sieta bišogna ch’te diga “bicionla cialò”. S taiee dinth n tin col sion, s fadee dù la tapa, dop tacaa da cl autra banda e cuön ch’al sion iner du dinthe, pte là i cois, t batee co la matha alora öla ciapaa la direthion giusta. (…) Era sempro caldugn ch’avee pì mistiör, i pì anthiane ch’didee com föi.[12]
Con l’aumento della precisione diminuirono anche gli incidenti sul lavoro ed il tempo necessario per l’abbattimento di un albero di medie dimensioni, che passò da circa un’ora a dieci minuti, fino ad un massimo di mezz’ora se presentava delle dimensioni ragguardevoli.
Dopo l’abbattimento di un albero il segone risultava spesso sporco di resina, areà/argià/rada, tanto da renderne indispensabile la pulizia. Essa infatti, con il suo effetto collante, riduceva lo scorrimento e aumentava di conseguenza la fatica dei boscaioli. Il problema veniva risolto, di norma, con della nafta o, in mancanza di questo combustibile non sempre reperibile, con della semplice acqua, aga/aiva, che, versata direttamente sulla lama durante il lavoro, ne favoriva la corsa, dando almeno la sensazione di uno scorrimento più agile. Se invece c’era la necessità di affilarlo, veniva praticato un taglio su una ceppaia, thocia/thoca/tauta, nel quale si infilava il dorso della lama, fissandola mediante dei piccoli cunei di legno. L’affilatura veniva effettuata con cura e maestria da quei pochi uomini che ne conoscevano l’arte, utilizzando degli appositi attrezzi. Tale operazione infatti non era semplice e se mal eseguita causava un’alterazione della struttura dei denti del segone, con conseguente perdita di uniformità di azione e spiacevoli saltellamenti che rallentavano il lavoro.
D. Cal erelo l inconveniente, dišon, pì serio che aeà co i atrethe; par ešempio col siegon?
R. Ben, ades scomenthon. Alora, tornon prima su la cuestion de la maneres. L era da ciapà carche sass, che l era na roba che de seguro no fašea tanto piather. Al siegon invethe, sicome che al bosco l era composto da pethuò e lares, al lares come savé l à ithe la vena de areà, l é rare chi che nol à. E alora ca l era dolori, parcè che canche se somethia a tirà al siegon, e che ien dó stò areà ithe par intrà, al se impiastra su duto al segadeithe e al siegon no score pì. E alora, chi pì fortunade, chanche se era pì fortunade e se avea la posibilità, se portaa daos an tin de nafta, che la nafta l era la pì indicada, therto che la costaa e no l era tanta comodità a ciatala. E se no co l aga. Bišognaa continuà, un là co la botilia de l aga, che continuaa a bucià dó aga e cercaa de disimpegnà sto siegon, che carche ota se se ridusea che bišognaa metese doi par parte a tirà, insoma. L era na roba an tin seria insoma.[13]
Note a “L’abbattimento degli alberi.”
[11] G. C., anni 78, ex boscaiolo ed ex guardia boschiva comunale, Lozzo di Cadore, 23 settembre 1999.
- D. Anticamente, quando non si usava ancora il segone, come venivano tagliate le piante?
R. Facevano tutto con la scure, hai capito?
D. Era una scure particolare?
R. Sì, era la scure stretta che adoperavano per tagliare la pianta e sezionarla, poi c’era l’accetta un po’ più larga che chiamavano la “pilona” serviva a tagliare i rami, a levare la corteccia e a smussare delle testate.
D. Sentivo dire che una volta quando tagliavano le piante con l’accetta sulla pianta facevano una coppa.
R. Sì, facevano una specie di coppa sulla ceppaia in modo che l’acqua depositandosi la marcisse prima.
D. Anche quando la tagliavano con l’accetta davano la giusta direzione dove indirizzarla?
R. Eh certo, “davano la strada” (eseguivano la tacca di direzione) anche con la scure, ma con la scure era necessario tagliare più della metà (del diametro) della pianta perchè si rovesciasse dalla parte voluta, invece con il segone bastava fare una tacca di direzione minima, perchè poi da dietro venivano messi i cunei e la pianta si alzava.
D. Mi dicevano anche che avevano un ferro con una corda per tirarla nel punto voluto.
R. Sì, quello che…, che chiamavano il ferro da piante.
D. Ditemi un po’ come funzionava questo ferro da piante.
R. Ecco qua, questo è il gancio che avvolgeva la pianta, questa è la pianta, la abbracciava così e questa punta si conficcava nel tronco. Questo ferro veniva messo in cima ad una stanga tramite un anello, quando l’attrezzo era alto al punto voluto, mediante uno strattone la punta andava a conficcarsi nel tronco. A questo punto veniva levata la stanga e rimaneva appesa soltanto la corda agganciata al ferro in precedenza. Questa corda veniva tirata ed ancorata ad un abete vicino. Poi incominciavano a tagliare la pianta. Quando avevano fatto un taglio profondo e quindi potevano tirare la pianta, montavano sulla corda e tiravano la pianta. In questo modo evitavano che la pianta andasse in una posizione non voluta. Avevano agganciato la corda alla pianta per poterla indirizzare dove volevano loro.[torna su]
[12] G. C. D. M., anni 79, ex boscaiolo e ex falegname, Costalta di San Pietro di Cadore, 13 aprile 1999.
- D. Come si svolgeva l’abbattimento di un albero e quali erano gli attrezzi che usavate?
R. A quel tempo c’erano i segoni americani, la motosega non c’era ancora. Noi lavoravamo otto ore. Abbattevamo un albero in due, uno per parte. Si utilizzavano anche i cunei e la mazza.
D. Come facevate a calcolare la direzione di caduta?
R. Ci vuole esperienza anche in questo; si osserva lo sbilanciamento della chioma, dove ci sono più rami, facendo attenzione ad evitare i danni al bosco; poi sono i cunei che determinano la direzione di caduta. Prima di abbatterlo bisogna decidere: “facciamola cadere lì”. Si faceva una piccola incisione col segone e la tacca di direzione, poi si iniziava a segare dall’altra parte e quando il segone era entrato abbastanza, si introducevano i cunei e battendoli con la mazza gli si direzionava la caduta. (…) C’era sempre qualcuno più esperto, in genere i più anziani davano consigli sul da farsi.[torna su]
[13] O. G., anni 70, ex boscaiolo ed assuntore, San Vito, aprile 1999.
- D. Quali erano gli inconvenienti più seri che potevano accadere con gli attrezzi; per esempio con il segone?
R. Bene, adesso iniziamo. Parliamo prima delle scuri. L’inconveniente principale era prendere qualche sasso, e questa era una cosa che non faceva certo piacere. Per quanto riguarda il segone, il bosco è composto da abeti e larici e questi, come sapete, hanno una vena di resina (areà = resina tipica del larice); sono rari quelli che non ce l’hanno. Ed allora qui erano dolori, quando la lama incontrava la vena di resina, che impiastrandosi con la segatura bloccava lo scorrimento del segone. I più fortunati, che ne avevano la possibilità, si portavano al seguito un po’ di nafta, che era la più indicata per risolvere l’inconveniente, ma costava e non era facile reperirla. Altrimenti con l’acqua. Un uomo con una bottiglia versava l’acqua sulla lama e si cercava di liberare il segone. Per riuscirci certe volte era necessario mettersi in due per parte per tirare. Era un inconveniente alquanto serio insomma.[torna su]