Il volume, che presenta una ricca documentazione di interesse etnografico e linguistico sulle attività pastorali del Centro Cadore, in provincia di Belluno, vuole essere un contributo alla valorizzazione del dialetto ladino-cadorino e della cultura popolare di quest’area.
L’industrializzazione nel settore dell’occhiale e il turismo hanno contribuito al progressivo abbandono di tali attività che, fino agli anni trenta del nostro secolo, hanno avuto un peso rilevante nelle strategie economiche di questa zona alpina, mentre nei decenni successivi si sono venute configurando sempre più come forme di integrazione saltuaria di reddito.
Se oggi è ancora possibile cogliere nel paesaggio, negli edifici, nei reperti di cultura materiale, alcuni segni che lasciano intuire quali fossero il peso e l’importanza dell’allevamento e delle attività ad esso connesse, la memoria delle tradizioni linguistiche e culturali direttamente riferibili a questo settore è sempre più labile. Da qui l’urgenza di raccogliere le testimonianze di coloro che hanno vissuto direttamente queste esperienze di lavoro.
La ricerca ha pertanto privilegiato i rilevamenti sul terreno e la produzione di fonti orali, attraverso la registrazione di interviste in diverse località del Centro Cadore. Ciò ha consentito di scavare nella memoria delle persone più anziane e di recuperare un patrimonio multiforme di saperi tecnici, di consuetudini, di parole e di espressioni nelle loro numerose varianti locali. Questi documenti sonori, accanto ai materiali fotografici reperiti, costituiscono l’avvio per la creazione di un Centro per la documentazione della cultura popolare del Centro Cadore, che diventi un luogo di memorie e di riflessione per le future generazioni.
Il volume, che contiene una scelta significativa dei materiali raccolti, vuole essere uno strumento rivolto alla popolazione locale per accrescere la coscienza e la conoscenza della propria storia e della propria identità culturale, alle scuole per stimolare una riflessione sull’oggi, in confronto ad un passato ancora molto vicino, sulla ricchezza della lingua e sul valore della diversità culturale. Infine vuole offrire, soprattutto attraverso la trascrizione delle interviste riportate in appendice, materiale per uno studio scientifico della lingua e della cultura di queste popolazioni alpine.
Il quadro che emerge dalla lettura del testo è significativo e ricco di sfaccettature. Le forme di allevamento e le strategie di uso dei pascoli mostrano alcune interessanti caratterizzazioni e differenziazioni all’interno del territorio. Si pensi, ad esempio, ai sistemi misti di pascolo su fondi privati e comunali oppure alla pratica per i meno abbienti di portare le proprie mucche a svernare nelle stalle di altri allevatori, cedendo a questi ultimi metà del prodotto. Alcune pratiche si basano ancora sulle norme stabilite dalle Regole. Si evidenziano altresì antiche consuetudini come quella di far baciare la mussa (il braccio girevole su cui è appesa la caldaia per il formaggio) alle ragazze all’inizio dell’alpeggio o di far toccare con la fronte ai bambini le pietre di confine dei pascoli. Da alcune testimonianze emerge, come in altre aree alpine, l’importanza del latte di mucca e di capra, anche inacidito, nella dieta dei cadorini.
La scelta tematica dell’alpeggio ha consentito di procedere con una certa sistematicità e quindi di sollecitare, ad esempio, l’uso di un lessico ormai spesso desueto o di ricordare episodi lontani da trasmettere alle nuove generazioni.
La lingua documentata nelle interviste è quella delle persone anziane che hanno conservato parole e forme spesso sconosciute o perlomeno poco usate dai giovani. E’ una lingua che lascia ancora trasparire alcune caratteristiche fonetiche e morfologiche individuate dall’Ascoli come tipiche delle varietà ladine.
Daniela Perco.
Loredana Corrà.