Fin dai tempi più antichi il lavoro nei boschi ha interessato le popolazioni delle montagne. In queste terre, povere di risorse naturali e di occasioni lavorative, il legname ha infatti sempre rappresentano un punto di riferimento importante per l’economia locale sia familiare che collettiva. Le estese foreste di abete rosso, larice ed abete bianco costituiscono una ricchezza naturale continuativa, che fornisce segati di ottima qualità e legna da ardere per uso domestico, oltre ad una serie di altri servizi quali la regimazione delle precipitazioni e la produzione di prodotti del sottobosco. Ma il loro sfruttamento, soprattutto per la produzione di legname, ha sempre richiesto grossi sacrifici, sia in termini di fatica che di condizioni lavorative, spesso disagiate e pericolose. Eppure, intorno agli anni cinquanta, ancora molti uomini optavano per questa professione, boscaiol/boschier/boscador, alcuni per passione altri per pura necessità economica.
Nella maggior parte dei casi chi sceglieva di intraprendere in maniera continuativa questo tipo di lavoro era mosso da una passione viscerale tramandata da padre in figlio, tale da attenuarne parzialmente le fatiche e le difficoltà quotidianamente presenti. A questi uomini, dopo una dura gavetta trascorsa ad allestire i tronchi, spettavano in genere i lavori di maggiore esperienza e professionalità, quali l’abbattimento degli alberi e la costruzione delle risine, i caratteristici manufatti utilizzati per l’esbosco dei tronchi in quei luoghi dove non era possibile eseguire la conduzione del legname attraverso gli avvallamenti o gli impluvi naturali.
Molto più spesso, il lavoro nei boschi era una scelta obbligata dalle ristrettezze economiche del momento, indubbiamente particolare per le trascorse vicissitudini del conflitto mondiale, che costringevano gli uomini ad adattarsi a fare qualsiasi tipo di lavoro. Nel bosco, la maggior parte di loro, si occupava dell’allestimento dei tronchi, che consisteva nella depezzatura dei fusti con il segone o con la scure, nella sramatura, sempre eseguita con l’accetta e nella scortecciatura, per la quale si utilizzavano l’accetta e, solamente in tempi più recenti, lo scorzatoio. Queste operazioni erano infatti svolte da coloro che avevano una minore esperienza lavorativa e per le quali non era richiesta una specifica professionalità.
D. Ma ve saeelo pì bel fà l contha o ndà inte l bosc?
R. A fà l contha.
D. Parché po?
R. Parché a fà l contha cande che era fret ndee al calt e cande che era calt ndee a l ombria. Mentre che inte l bosc era vite da can, che ncoi no te cata pì chi che fà chele vite là, i và in prešon li pitost che fà chele vite là. Parché bisognea laorà magari con cuaranta schei de nef, anca l invern eh, parcheche se laorea fin da Nadal, ma dopo se tornea ncora a laorà, ah! Eh, anca tut invern se laorea. Vite da can, eco![5]
Spesso con le squadre di boscaioli vi era un ragazzo, bòcia/riedo. Da lui non ci si aspettava una produzione giornaliera di tronchi allestiti, ma piuttosto gli veniva richiesto di eseguire tutte quelle attività che potevano rendere meno disagevole la vita nel bosco. Uno dei tanti compiti era quello di dissetare gli operai portando loro dell’acqua con una borraccia o una tinozza.
D. Cande aveo scomenthà a fà l boschier?
R. Mi varda, ài fenì la scola a dodes agn e me pare el m à fat dì a portà acua ntel bosc tel 1939 a Col de l Mus. Alora l era la bariza e se portava acua par fà la polenta par i boschier.[6]
Note al testo
[5] G. M., anni 90, ex boscaiolo e minatore, Rivamonte Agordino, 9 luglio 1999.
- D. Ma vi piaceva di più fare il seggiolaio o lavorare nel bosco?
R. Fare il seggiolaio.
D. Perché?
R. Perché a fare il seggiolaio quando faceva freddo andavo al caldo e quando faceva caldo andavo all’ombra. Mentre nel bosco si faceva una vita da cani; oggi non trovi più coloro che si adattano a quel tipo di vita, preferiscono la prigione a quel tipo di vita. Perché bisognava lavorare anche con quaranta centimetri di neve, anche l’inverno, perché si lavorava fino a Natale, ma poi si ritornava ancora a lavorare. Anche per tutto l’inverno si lavorava. Vita da cani, ecco![torna su]
[6] R.S., anni 72, ex boscaiolo e proprietario di segheria, Falcade, aprile 1999.
- D. Quando avete iniziato a fare il boscaiolo?[torna su]
R. Io, ho finito la scuola a dodici anni e mio padre, nel 1939, mi ha mandato a portare l’acqua nel bosco a Col del Mus. Allora si portava l’acqua per fare la polenta ai boscaioli con una botticella di legno.